Il Confine

Nota dell’Autrice:
Se Qualcuno si prende tanto disturbo da raggiungerci dall’aldilà per dirci qualcosa…
beh, penso proprio che dovremmo ascoltarlo.

– Non ci andare, lì.
– Perché no, zia? Non capisco…
– Te lo sconsiglio. Non andare laggiù.
– Non capisco nemmeno perché me lo stai dicendo. Non ci voglio andare. Non ci ho mai pensato… Perché dovrei? No… voglio dire… non mi interessa.
– La scelta è tua ma sappi che, se andrai, non potrai più tornare indietro.
– Ma tornare indietro da cosa?
– Non oltrepassare il limite.
La ragazza si volta verso un angolo della stanza, un punto vuoto accanto alla finestra. Il sole del primo pomeriggio si diffonde attraverso il velo delle tendine bianche e l’angolo, a guardarlo bene, non è vuoto. Pare ospitare una donna impalpabile, una sorta di fumo concreto e sfuggente come le nuvole. Non una donna a caso: la sua cara zia in forma smagliante, con i capelli spumosi tinti di biondo chiaro e il sorriso simpatico e avvolgente. Era simpatica anche quando la sgridava, sempre stata così, e lei l’ha sempre amata per quello. La ragazza si rende ora conto di quanto le manchi, l’abbraccerebbe forte se potesse, ma non può farlo. La zia è lì solo per avvertirla, è il messaggio che porta, è solo un fantasma che le vuole bene. E lei di fantasmi non ne vuole sapere: ha sempre fatto di tutto per convincersi che non sono reali.
Non crede ai fantasmi, infatti.
Però vuole bene a sua zia e si sente in dovere di ascoltarla.

Non superare quei tronchi è semplice da capire e da seguire. È un consiglio dato per il suo bene, non ne dubita. Quindi non lo farà mai in vita sua.
Mai superare quei tronchi in giardino.
Garantito.

È la prima volta, tra l’altro, che considera la possibilità di spingersi tanto a fondo nella sua proprietà. Le viene in mente mentre guarda la pila di tronchi che sorregge il terreno. Crescono degli alberi, lassù. Alberi fitti con stupende bacche rosse; qualcuno deve averle detto che si chiamano tassi. Strano che non abbia mai pensato di ispezionare quella zona.
Non vuole farlo, non si scherza: la zia è stata chiara.
Ma… la zia ora è andata… e cosa mai potrebbe succedere? Sono pochi alberi che nulla potrebbero nascondere.

Il suo compagno è al lavoro, è sola in casa. Una casa molto bella, su due piani, luminosa, tanto silenziosa… la casa che ha sempre desiderato. La ama profondamente.
E la trova inquietante. Non si sarebbero dovuti trasferire lì, ma ormai è fatta e, in qualche modo, deve convivere con quel silenzio. Un silenzio che brulica di tante voci.

Attraversa la portafinestra della sua candida sala ed è pervasa da una tranquillità definitiva. Ammira il giardino come se lo vedesse per la prima volta: erba fresca tenuta bassa, un tavolo che attende la prima grigliata, una aiuola aromatica e fiorita, un bel muretto tutto intorno e una discreta schermatura dal mondo esterno. La fa sentire protetta e felice, almeno finché si mantiene vicina a casa. Ma il terreno si allunga verso una zona selvaggia, niente più che un piccolo riquadro di terra con cinque tassi, sul quale null’altro riesce ad attecchire.
Poche chiome propagano un’ombra perenne nel suo angolo di paradiso. C’è anche un rigagnolo d’acqua, giusto un filo sottile che taglia il prato da parte a parte senza una vera spiegazione. “Meglio lasciarlo lì, dia retta a me. Se non scorre fa danni.” hanno ripetuto tutti gli operai consultati. E lei si è fidata. Così, il fiumicello è lì a rendere il giardino ancora più bizzarro. Anche carino, a vederlo da vicino, limpido e fresco come un ruscello di montagna. Si può scavalcare in un passo. Oltre, la pila di tronchi che sorregge il terreno non appare più alta di un gradino. Un gradino che non dovrebbe scalare, se lo ricorda vagamente, eppure non vede pericolo oltre quel confine sottile. C’è solo un po’ d’ombra e una piacevole frescura data dai tassi. Tanti tassi, tanti più di quelli che è riuscita a contare da casa, come se un intero bosco si stesse nascondendo in pochi metri quadri.
Il passo è fatto, l’attraversata compiuta.
Dove è finta?
È buio, quasi freddo. Se presta attenzione può udire voci leggere, forse le stesse che sussurrano in casa. Se guardasse bene, ma non vuole guardare, potrebbe vedere i volti di quelle voci.
Non ha paura, ma non è in pace. Ha seguito i suoi piedi ed ora è là dove non vorrebbe. Ha oltrepassato il limite che si era imposta fin da bambina: ora li sente, ora li vede. Non sono mai stati così reali. E sta ferma, gli occhi chiusi, congelata in quell’istante di consapevolezza. Ho fatto un grave errore.
Ma avverte un formicolio alla schiena, come se qualcuno la stesse aspettando. O come se fosse finalmente arrivato qualcuno che aspettava. Una voce lontana più delle altre, ma più forte di tutte, la chiama. Le chiede dov’è. Le chiede di tornare.
Tornare dove?
È il suo compagno. Sembra preoccupato. Sembra un richiamo urgente. È ora di andare.
Si volta. Il fiume è in piena e tutto il bosco potrebbe essere spazzato via dalla corrente. Il muro di tronchi ora è un abisso profondo e non pensa di poterlo discendere, ma non si dà per vinta. Deve tornare. Ci prova, tutto precipita in un abisso oscuro. O è lei a precipitare, di sotto?

Si sveglia di botto.
– Stai bene?
– Sto bene.
Il suo compagno la aiuta a rialzarsi.
Il prato non è altro che un prato: verde, fresco, piacevole.
Il rigagnolo d’acqua è quasi assente sotto quel muretto di tronchi che delimita la zona dei due piccoli tassi.
Il sole splende in cielo e tutto è dolce, tanto dolce che rincuora. Nulla è cambiato. Le finestre sono vuote, l’aria è silenziosa. Il suo compagno la sostiene e tanto basta.
È stato solo un sogno, uno di quelli che non vuole ricordare. Ora tutto torna reale.
Forse.
Perché in fondo alla coscienza, ai lati della percezione, si sta affollando un certo rumore. Un brusìo leggero e costante che non sarà più in grado di ignorare.

Passano mesi di una vita tranquilla, ma lei non è più la stessa.
Resta spesso nella sua casa luminosa e tranquilla, non vuole affrontare il mondo là fuori. Si chiude ai rumori e alle occasioni, si chiude in se stessa quando vorrebbe solo scappare. Ma non sono la casa, né il fidanzato, né la sua vita il problema.
Loro la conoscono. Loro la vedono. Loro la seguono. Lei non può più fingere, non li può più ignorare. Si fermano, ogni tanto, a parlare.  Hanno tutti un piccolo pensiero da lasciare, un messaggio che vorrebbero trasmettere: “Io sto bene!” “Dì questo a mio nonno…” “Saluta lo zio.” “Va’ a dirgli, ti prego, che l’amo.”
Come se lei potesse. Come se lei sapesse cosa fare. Non si può alzare il telefono e dire “Hai presente la tua mamma, morta l’anno scorso? Vorrebbe dirti una cosa…” Nessuno più crede ai fantasmi, figuriamoci ai loro messaggi.
Nessuno più crede nell’Aldilà, ma questo, agli Spiriti, non sembra importare.
Così, lei affoga in una vita di chiacchiere non chieste, di parole non volute, di responsabilità che non sa gestire.
Spesso, siede accanto alla finestra del piano di sopra che dà sul giardino. Quella che vede i tre tassi in lontananza. Ha sistemato una poltrona di fronte a lei, sperando che un giorno verrà occupata, ma la Zia non vuole mettersi comoda, le basta una luce soffusa. La trova un giorno lì, accanto alla finestra, a studiare il giardino con una severità sconosciuta.
– Te la cavi male.
– Io… non riesco… e non so più farli tacere. Loro parlano e parlano e… oh… aiutami, ti prego. Insegnami!
La Zia la fissa negli occhi, ora.
– Sapevo che non eri pronta. Ti avevo avvertita. Hai voluto oltrepassare il confine, ora il problema è tuo.
La Zia svanisce in un silenzio tombale.
Sa di averla offesa, sa che non farà più ritorno. Ma gli altri sì, gli altri Spiriti torneranno.
Tornano sempre da chi li sa ascoltare.

Il Confine © 2022 by Irene Tortoreto aka Irene T. Lachesi is licensed under Attribution-NonCommercial-NoDerivatives 4.0 International

Le bacche rosse del Tasso
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